DCA e ruolo di genere al femminile
La maggior parte delle persone che soffrono di disturbi alimentari sono donne, provenienti da varie estrazioni sociali e appartenenti a diverse nazionalità. L’aumento di patologie che hanno a che fare con il peso, la forma fisica e l’aspetto esteriore può essere messo in relazione ad anni in cui la società ha spinto le donne ad intraprendere diete per conformarsi ad irrealistici standard di magrezza quali modelli di attrazione fisica (Garner et al., 1982). La pressione sociale porterebbe le donne al rischio di sviluppare un DCA come conseguenza dell’enfasi della magrezza, quale componente indispensabile dello stereotipo del ruolo sessuale femminile. Le norme culturali di magrezza e di controllo del peso sono accettate nei loro eccessi così diffusamente che gli atteggiamenti e i comportamenti richiesti nella diagnosi di anoressia e di bulimia non sono considerati come infrequenti o patologici (Gobbi et al., 2006). Un corpo attraente è sinonimo di bellezza femminile solo se simile ad un corpo magro e longilineo di un’anoressica (Meadow et al., 1995).
L’aumento epidemico dei casi di patologie alimentari diviene pertanto l’espressione estrema del mutamento radicale delle aspettative sociali nei confronti delle donne (Gordon, 1991). Il modello di un corpo filiforme è diventato un imperativo, la preoccupazione di avere un corpo perfetto è così pronunciata che ci sono riviste esclusivamente dedicate a questo aspetto (Anderson et al., 1992). Il messaggio derivante pone la magrezza come una delle cose più importanti nella vita di una donna, indipendentemente dai suoi impegni, dalle sue responsabilità professionali e dal periodo specifico della sua vita (adolescenza - gravidanza - menopausa).
Si ipotizza che esista un qualcosa di distintivamente femminile che, interagendo con gli standard socioculturali odierni, predisponga alcuni soggetti al rischio di patologie alimentari. Si ipotizza dunque che l’iperfemminilità sia un elemento di rischio per i DCA
In uno studio del 2006 di F. Gobbi e F. Monti è stato visionato un campione totale di 64 donne nubili con età media di 22 anni (14-27 anni). 32 soggetti costituivano un gruppo sperimentale con diagnosi di anoressia e bulimia, i restanti 32 costituivano il gruppo di controllo. Ai soggetti sono stati somministrati due test l’Eating Disorders Inventory 2 (EDI 2 Garner, 1985), volto a valutare i sintomi del DCA, e il Berm Sex Role Inventory (B.S.R.I. Berm, 1974 ) che invece contiene scale di mascolinità e femminilità tra loro indipendenti. Il B.S.R.I. è costituito da 60 items che fanno parte di quattro diverse sottoscale: femminilità, mascolinità, androginia e in differenziabilità. Le prime due scale delineano una forte tipizzazione sessuale e un’alta desiderabilità sociale. L’individuo sessualmente tipizzato avrebbe interiorizzato gli standard considerati socialmente desiderabili per i membri del sesso di appartenenza, sviluppando una scarsa dinamicità situazionale e un atteggiamento piuttosto stabile nel tempo. La sottoscala dell’androginia valuta un individuo non tipizzato, capace di adattarsi in ogni situazione, con un’elevata soglia agli eventi stressanti interni ed ambientali, con un buon livello di autostima e di capacità relazionale (Brems et al., 1990).
I risultati mostrano delle differenze importanti nel B.S.R.I., ovvero una adesione al ruolo femminile più alto nel gruppo sperimentale (femminilità = 63% androginia = 6%) rispetto al gruppo di controllo (femminilità = 31% androginia = 43%). Tali risultati sono in linea con Troisi et al ., (2006). Dimostrano che: alti livelli di desiderabilità sociale sono strettamente correlati ai disturbi alimentari; essere figli di genitori con un ideale di ruolo femminile tradizionale, valorizzante gli aspetti ed i tratti stereotipici femminili, può portare ad alti livelli di sintomi alimentari. Le pazienti anoressiche e bulimiche adottano prevalentemente un ruolo sessuale femminile (Murnen et al., 1997) rigidamente ancorato ad una tipizzazione sessuale e poco aperto ad una copresenza di aspetti femminili e maschili. La presenza di una flessibilità permetterebbe alle donne una maggiore capacità di adattamento ai mutamenti sociali degli ultimi anni, in modo da poter spaziare in un ampia gamma di comportamenti a loro disponibili a seconda di ciò che le varie circostanze richiedono nel passaggio da una situazione all’altra. Per Bem (1977) infatti l’individuo sessualmente tipizzato mostrerebbe una precaria dinamicità funzionale ed un’enorme stabilità nell’assunzione di atteggiamenti e comportamenti specifici come quello alimentare. Il ruolo di genere dunque rientrerebbe quale elemento determinante per l’eziologia dei disturbi alimentari, garantendo un’ulteriore fragilità e propensione alla malattia. Ancora su questo punto però ci sono dei risultati contrastanti ovvero un lavoro di Lancelot et al., 1994, per esempio, disconferma il legame tra DCA e ruolo di genere. È da tenere presente che fonti che collegano i DCA e l’educazione di genere è molto ridotta e molti elementi sarebbero ulteriormente da mettere a fuoco.
La maggior parte delle persone che soffrono di disturbi alimentari sono donne, provenienti da varie estrazioni sociali e appartenenti a diverse nazionalità. L’aumento di patologie che hanno a che fare con il peso, la forma fisica e l’aspetto esteriore può essere messo in relazione ad anni in cui la società ha spinto le donne ad intraprendere diete per conformarsi ad irrealistici standard di magrezza quali modelli di attrazione fisica (Garner et al., 1982). La pressione sociale porterebbe le donne al rischio di sviluppare un DCA come conseguenza dell’enfasi della magrezza, quale componente indispensabile dello stereotipo del ruolo sessuale femminile. Le norme culturali di magrezza e di controllo del peso sono accettate nei loro eccessi così diffusamente che gli atteggiamenti e i comportamenti richiesti nella diagnosi di anoressia e di bulimia non sono considerati come infrequenti o patologici (Gobbi et al., 2006). Un corpo attraente è sinonimo di bellezza femminile solo se simile ad un corpo magro e longilineo di un’anoressica (Meadow et al., 1995).
L’aumento epidemico dei casi di patologie alimentari diviene pertanto l’espressione estrema del mutamento radicale delle aspettative sociali nei confronti delle donne (Gordon, 1991). Il modello di un corpo filiforme è diventato un imperativo, la preoccupazione di avere un corpo perfetto è così pronunciata che ci sono riviste esclusivamente dedicate a questo aspetto (Anderson et al., 1992). Il messaggio derivante pone la magrezza come una delle cose più importanti nella vita di una donna, indipendentemente dai suoi impegni, dalle sue responsabilità professionali e dal periodo specifico della sua vita (adolescenza - gravidanza - menopausa).
Si ipotizza che esista un qualcosa di distintivamente femminile che, interagendo con gli standard socioculturali odierni, predisponga alcuni soggetti al rischio di patologie alimentari. Si ipotizza dunque che l’iperfemminilità sia un elemento di rischio per i DCA
In uno studio del 2006 di F. Gobbi e F. Monti è stato visionato un campione totale di 64 donne nubili con età media di 22 anni (14-27 anni). 32 soggetti costituivano un gruppo sperimentale con diagnosi di anoressia e bulimia, i restanti 32 costituivano il gruppo di controllo. Ai soggetti sono stati somministrati due test l’Eating Disorders Inventory 2 (EDI 2 Garner, 1985), volto a valutare i sintomi del DCA, e il Berm Sex Role Inventory (B.S.R.I. Berm, 1974 ) che invece contiene scale di mascolinità e femminilità tra loro indipendenti. Il B.S.R.I. è costituito da 60 items che fanno parte di quattro diverse sottoscale: femminilità, mascolinità, androginia e in differenziabilità. Le prime due scale delineano una forte tipizzazione sessuale e un’alta desiderabilità sociale. L’individuo sessualmente tipizzato avrebbe interiorizzato gli standard considerati socialmente desiderabili per i membri del sesso di appartenenza, sviluppando una scarsa dinamicità situazionale e un atteggiamento piuttosto stabile nel tempo. La sottoscala dell’androginia valuta un individuo non tipizzato, capace di adattarsi in ogni situazione, con un’elevata soglia agli eventi stressanti interni ed ambientali, con un buon livello di autostima e di capacità relazionale (Brems et al., 1990).
I risultati mostrano delle differenze importanti nel B.S.R.I., ovvero una adesione al ruolo femminile più alto nel gruppo sperimentale (femminilità = 63% androginia = 6%) rispetto al gruppo di controllo (femminilità = 31% androginia = 43%). Tali risultati sono in linea con Troisi et al ., (2006). Dimostrano che: alti livelli di desiderabilità sociale sono strettamente correlati ai disturbi alimentari; essere figli di genitori con un ideale di ruolo femminile tradizionale, valorizzante gli aspetti ed i tratti stereotipici femminili, può portare ad alti livelli di sintomi alimentari. Le pazienti anoressiche e bulimiche adottano prevalentemente un ruolo sessuale femminile (Murnen et al., 1997) rigidamente ancorato ad una tipizzazione sessuale e poco aperto ad una copresenza di aspetti femminili e maschili. La presenza di una flessibilità permetterebbe alle donne una maggiore capacità di adattamento ai mutamenti sociali degli ultimi anni, in modo da poter spaziare in un ampia gamma di comportamenti a loro disponibili a seconda di ciò che le varie circostanze richiedono nel passaggio da una situazione all’altra. Per Bem (1977) infatti l’individuo sessualmente tipizzato mostrerebbe una precaria dinamicità funzionale ed un’enorme stabilità nell’assunzione di atteggiamenti e comportamenti specifici come quello alimentare. Il ruolo di genere dunque rientrerebbe quale elemento determinante per l’eziologia dei disturbi alimentari, garantendo un’ulteriore fragilità e propensione alla malattia. Ancora su questo punto però ci sono dei risultati contrastanti ovvero un lavoro di Lancelot et al., 1994, per esempio, disconferma il legame tra DCA e ruolo di genere. È da tenere presente che fonti che collegano i DCA e l’educazione di genere è molto ridotta e molti elementi sarebbero ulteriormente da mettere a fuoco.